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Da Carissimi a Perosi

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             Da Carissimi a Perosi

     di Antonio Mazza

  Dal ‘600 al ‘900, una magnifica passeggiata fra quattro secoli di musica proposta dai concerti del XXII Festival Internazionale di Musica e Arte Sacra. Inizio a San Pietro, come sempre, con la Messa di apertura celebrata dal cardinale Angelo Comastri. Già l’introduzione, con “Deus tu convertens”, di Wolfgang Joseph Emmerig, uno sgargiante sfolgorìo di suoni (organo e ottoni più le voci), sembra definire il clima del primo appuntamento del Festival. Serenità, un senso di diffusa pacatezza che la “Messa dell’Incoronazione” di Mozart conferma sin dal “Kyrie” iniziale. E così i momenti successivi, soprattutto il “Credo”, solenne ma nella chiave giusta, di intimo raccoglimento, la preghiera che esalta e consola, sigillata dal finale “Agnus Dei”. Una degna cornice musicale i cui toni hanno creato quel clima di serenità  contemplativa di cui dicevo, merito dell’Orchestra di Roma e IlluminArt Chorus diretto da Tomomi Nishimoto (Sekai voce solista in brani di Giulio Caccini)) dal Coro del Vicariato Vaticano – Basilica di San Pietro diretto da Temistocle Capone, Gianluca Libertucci organista.

In San Pietro. crediti: Musacchio & Fucilla/MUSA.

In San Pietro.
crediti: Musacchio & Fucilla/MUSA.

  Location particolare per la seconda giornata del festival, il Pantheon, con la “Missa Redemptionis” di Lorenzo Perosi eseguita dall’Ensemble Guillou Consort, organista Juan Paradel Solé, diretto da Mons.Valentino Miserachs Grau (che, nel 2009, nella basilica di San Paolo, aveva diretto il suo oratorio “Paolo e Fruttuoso”). Figlio d’arte (il padre era maestro di cappella del duomo di Tortona) Lorenzo si perfezionò nella musica sacra giovanissimo, prese gli ordini e, nel 1898, papa Leone XIII lo nominò Direttore Perpetuo della Cappella Musicale Pontificia Sistina. Vastissima la sua produzione, oratori, messe, mottetti, sinfonie, il canto liturgico quale ideale prosieguo della grande tradizione polifonica, in particolare la Scuola Romana, con il suo rigore stilistico. Rigore che impronta tutta la composizione sacra, dandole una forte connotazione spirituale, evidenziata con timbro lieve ma deciso dal maestro Miserachs Grau e il coro (con intervallati brani dello stesso Grau, in particolare un intenso “Ave Verum”).

Nel Pantheon. Crediti: Musacchio & Fucilla/MUSA

Nel Pantheon.
Crediti: Musacchio & Fucilla/MUSA

  Ci spostiamo in San Paolo per la mitica “Sinfonia n.9” di Ludwig van Beethoven, a celebrare due anniversari, 200 dal catastrofico incendio che distrusse la basilica, e 60 dall’elezione di Paolo VI al soglio pontificio. Una musica che potremmo ben definire allegorica, l’esistenza umana come ricerca di qualcosa che ne trascenda i limiti e sia pace ed armonia: quel “diritto alla felicità” che già, nel 1776, Thomas Jefferson aveva incluso nella dichiarazione d’indipendenza americana. In effetti la Nona si sviluppa come un percorso iniziatico, con il primo movimento che suggerisce il sorgere di un’alba nuova e, subito, è un ribollire di vita, in un crescendo tipicamente beethoveniano. Il risveglio delle coscienze e l’anelito ad un “oltre” espresso da una musica incalzante, che alterna momenti idilliaci a turgori improvvisi scanditi dal tocco dei timpani. Segue  una fase come di attesa che esplode nel finale, dapprima una melodia struggente poi è un vortice di voci e suoni che celebrano l’Inno alla Gioia, quella ricerca-richiesta di un “oltre” che affratelli l’umanità. Il tutto ben evidenziato dalla densa interpretazione di Tomomi Nishimoto e l’IlluminArte Chorus, Rossana Cardia, soprano, Chiara Chialli mezzosoprano, Delfo Paone, tenore, Ferruccio Finetti, basso.

In San Paolo. Crediti: Musacchio & Fucilla/MUSA.

In San Paolo.
Crediti: Musacchio & Fucilla/MUSA.

  E di un “oltre” ma diverso, al di là dell’umano, parla anche il “Requiem” di Wolfgang Amadeus Mozart, il suo capolavoro sommo nonché testamento spirituale. “Saper accettare la morte è il vero scopo della vita”, aveva scritto al padre Leopold gravemente ammalato e il “Requiem” si configura come il momento di passaggio, il “transitus” degli antichi cristiani verso il regno celeste. Alla mestizia iniziale fa seguito il guizzo di speranza del “Kyrie” ma ora è il Giorno del Giudizio e il “Dies irae” delinea il confine fra la vita e la morte. “Rex tremendae maiestatis”, l’angoscia che accompagna l’anima nel varcare l’ultima frontiera, l’Ignoto che ancora impedisce il distacco dalle forme terrene. Ma già, nel coro che intona “Lacrimosa”, sta maturando qualcosa che, nell’ “Offertorium”, diventa progressivamente accettazione nel segno celeste. “Fac eas, Domine, de morte transire ad vitam” ed è la catarsi annunciata dal “Benedictus”, scandita dall’ “Agnus Dei” e consacrata nel possente fugato “Lux aeterna” (ultimato, su indicazioni dello stesso Mozart malato, dal suo allievo Sussmayr). Tutto è compiuto e l’ “Ave Verum” eseguito dopo il “Requiem” ne funge un po’ da corollario, eseguito con la stessa intensa partecipazione dalla Venerabile Cappella Musicale Liberiana e Coro e Orchestra della Cappella Ludovicea diretti da Ildebrando Mura. Pia-Marie Nilsson soprano, Debora Baronesi mezzosoprano, Rodrigo Ortiz tenore, Andrea D’Amelio basso.

In Santa Maria Maggiore. Crediti: Musacchio & Fucilla/MUSA.

In Santa Maria Maggiore.
Crediti: Musacchio & Fucilla/MUSA.

  Davvero particolare l’ultimo concerto in Sant’Ignazio, “L’Esercizio dell’Oratorio” di Giacomo Carissimi, massimo esponente della Scuola Romana dopo Palestrina. Nella Roma del ‘600, la Roma delle confraternite e dei trionfi barocchi in Nomine Dei, i semi gettati nel secolo precedente da San Filippo Neri nell’oratorio della Vallicella (la “lauda” filippina) e da “La rappresentazione di anima et di corpo”, opera sacra di Emilio de’ Cavalieri, eseguita nello stesso luogo, diedero frutti superbi. E fu appunto Giacomo Carissimi, erede di una grande tradizione che seppe sviluppare sul filo di una sincera “pietas” personale, un forte sentimento religioso che pervade tutti i suoi lavori (penso in particolare a “Jephte”). In questo “Esercizio dell’Oratorio” il suo incontro con Paolo Segneri, famoso predicatore della Compagnia di Gesù, si traduce in una profonda meditazione cantata sul tema della fugacità della vita e sul bisogno di darle un senso cristiano. Quanto traspare dal primo “essercizio”, “Sponsa Canticorum”, dai “Quaresimali” del Segneri, dove le due figure principali, la “Filiae Jerusalem” e lo “Sponsus” mimano il simbolico cammino dell’anima verso il cielo (“Surgamus, eamus in montem”). E anche il secondo “essercizio”, “Vanitas vanitatum – Contemptus mundi”, è un richiamo al retto cammino per non cedere alle fallaci tentazioni del mondo (“Omnia vanitas et umbra sunt”). E qui si avverte l’onda lunga della Controriforma, che permea ancora la religiosità non solo romana del XVII secolo.  Flavio Colusso ed il suo Ensemble Seicentonovecento con il quale, da 40 anni perfeziona il progetto di studi “Giacomo Carissimi Maestro dell’Europa Musicale”, creando un clima rarefatto, sospeso, con un che fra mistero medioevale e dramma liturgico, hanno assolto in modo perfetto un compito per nulla facile. Magnifici interpreti l’Ensemble Seicentonovecento e la Cappella Musicale di Santa Maria dell’Anima diretti da Flavio Colusso al cembalo. Margherita Chiminelli soprano, Maria Chiara Chizzoni soprano, Jennifer Schittino soprano, Andrés Montilla Acurero, haute-contre, Riccardo Pisani tenore, Mauro Borgioni baritono, Walter Testolin basso. Un ottimo finale per questo Festival anno XXII, con il patrocinio del Prof.Dr. Max  Michael Schlereth.

In Sant'Ignazio di Loyola. Crediti: Musacchio & Fucilla/MUSA.

In Sant’Ignazio di Loyola.
Crediti: Musacchio & Fucilla/MUSA.

1 Commentoa“Da Carissimi a Perosi”

  1. Dringoli fabrizio // 13 novembre 2023 a 9:57 // Rispondi

    Complimenti ..il testo è puntuale e preciso come i tempi musicali..anzi trovo che la tua critica musicale sia più profonda di qulla..pur efficace..riguardante mostre d arte..si vede che scrivevi come critico.musicale..i miei rispetti

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